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Come può lo yoga aiutare in caso di stati d’ansia, stress o addirittura depressione? Rispondo a questa domanda perché è una delle ragioni per cui vengo contattata più spesso, soprattutto in caso di richieste per percorsi privati e creati su misura. Specie dall’avvento della pandemia, i casi di attacchi di panico, ansia, stress e depressioni sono esponenzialmente aumentati. Il cambio dello stile di vita, per qualcuno radicale, ci sta portando sempre più a sentirci soli, isolati, spaventati e ad affrontare grandi incertezze.

Lo yoga è di grande aiuto, e sempre più studi scientifici ce lo stanno confermando. Non a caso negli ultimi due anni in molti hanno iniziato a praticare yoga facendolo diventare una costanza della propria routine quotidiana.

Ma come lo fa? Perché e come lo yoga ci può aiutare?

La grande differenza esistente tra la pratica dello yoga rispetto ad altre discipline corporee, è la consapevolezza che noi portiamo nel movimento, attraverso lo strumento del respiro. La nostra respirazione è uno dei ponti tra corpo e mente, mettendo in comunicazione lo stato emozionale con quello fisico, aiutandoci nel radicamento e, conseguentemente, facendoci sentire al sicuro nel nostro corpo.

Stati quali ansia, stress e depressione, corrispondono ad un disequilibrio energetico. Una pratica come lo yoga, che agisce sul corpo e sulla mente in ugual maniera, ci aiuta a riportare in equilibrio il nostro sistema. Grazie al movimento e all’azione della respirazione profonda e controllata, le tensioni del corpo si rilasciano, la mente si acquieta trovando pace ed armonia. La mente si riorganizza, definendo nuove priorità, sentendosi più a suo agio in un corpo flessibile e forte. Questo permette al sistema nervoso di distendersi. Di conseguenza siamo capaci di rallentare, trovare nuova energia, stimoli e senso di fiducia e sicurezza dentro di noi.

Questa è una panoramica, in forma assolutamente sintetizzata e semplificata, di come lo yoga agisce e ci trasforma. Ne avevamo parlato in maniera più approfondita qui, in questa intervista-chiacchierata con Valentina Vavassori (osteopata) e Maria Elide Vanutelli (psicologa e neuroscienziata), entrambe anche insegnanti di yoga.

 

Quando le forme di ansia o stress si sono manifestate in forma lieve, una pratica yoga generalizzata ha già grande impatto benefico sul nostro sistema. Quando i sintomi si sono manifestati in forma già più impattante sulla nostra vita, il consiglio è senz’altro di affrontare un percorso terapeutico con un professionista, a cui affiancare la pratica dello yoga. In questo caso, sarebbe utile farsi consigliare da un insegnante qualificato il tipo di lavoro e percorso più adatto al nostro caso specifico. L’ideale sarebbe intraprendere un percorso personalizzato e studiato su misura delle necessità soggettive.

Yin e Yang nell’approccio con ansia e depressione

È da tener presente che ansia e depressione vengono affrontate in modalità differenti, perché i loro effetti sul nostro sistema sono quasi opposti. Quando viviamo stati depressivi, molto comunemente la nostra mente sta rimuginando sul passato, su ciò che c’era e non è più, su quello che si è perso e che ci manca. Di conseguenza, vengono a mancare l’energia vitale, la motivazione e la forza di volontà.

Una pratica mirata al risveglio di questa energia è fondamentale. In particolare si adotterà un approccio energetico Yang, che stimoli il sistema nervoso e i centri energetici legati all’autostima, all’apertura del cuore alla vita e agli altri. In questo caso, una pratica energizzante dinamica e attiva, che lavori in particolare su terzo e quarto chakra, aiuterà il risveglio della parte di noi sopita, riportando motivazione, gioia e volontà, sentendo il corpo forte e scattante.

In caso di stati d’ansia e stress, al contrario,  la nostra mente è focalizzata sul futuro, su ciò che potrebbe essere, sulle incertezze e sulle preoccupazioni. Avrò dunque necessità di ritrovare il senso di sicurezza che è venuto a mancare, riportando la mente in uno stato di quiete e calma.

In questo caso ci viene in aiuto una pratica Yin, volta alla distensione, che rilassa in profondità i tessuti, sciogliendo le tensioni profonde, stimolando il nevo vago e riportandoci presenti a noi stessi. Adotterò dunque un approccio più introspettivo, di ascolto e percezione, stimolando i chakra più bassi, legati al radicamento e alla fiducia nella vita.

Spesso, quello che si vive è una sorta di mix tra le due cose: non è infatti detto che se soffro di attacchi di panico non stia vivendo anche una forma depressiva, e viceversa. Per questo è importante saper bilanciare bene gli “ingredienti”. Un giusto quantitativo di yin & yang, conditi con la presenza mentale e il lavoro sulla respirazione, sono la ricetta per poter ritrovare il benessere che sentiamo di aver perso, nuovo equilibrio e felicità interiori.

Quando il nostro sistema è in disequilibrio, è giusto agire per poterlo aiutare a ritrovare il giusto bilanciamento. Successivamente, è nostro compito mantenere questo equilibrio, lavorando affinché lo stato di appagamento interiore e serenità si mantenga come costante nella nostra vita.


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Yin yoga: una pratica per tutti

Lo stile di vita che impone la nostra società, sempre più stressante, si può considerare a prevalenza Yang. Un eccesso di stimoli porta il nostro sistema ad attivare l’asse dello stress, che se mantenuto sempre attivo a lungo andare va a creare una serie di problemi sul nostro sistema corpo-mente (abbiamo accennato all’argomento nella video-intervista sopra).

A questo proposito lo stile Yin Yoga risponde alla necessità di bilanciare questo eccesso, riportando armonia nel nostro sistema. Estremamente benefico, questo stile è consigliato e adatto a tutti, qualunque esperienza e livello di pratica con lo yoga si abbia. Questo stile yoga si può considerare già un primo approccio alla meditazione, che lavora contemporaneamente su corpo e mente.

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Lo yin yoga è amato per i suoi risultati benefici sul corpo, ma anche sulla mente e sullo stato psichico ed emozionale. Questi effetti sono ancora più immediati e subito riscontrabili dal praticante.

Quali sono i più comuni?

  • diminuiscono ansia e stress
  • migliora il sonno
  • si ottiene calma mentale e quiete
  • ci si sente da subito profondamente rilassati 
  • le tensioni emozionali vengono rilasciate 

Lo yin yoga, con il suo approccio alle posizioni mantenute a lungo, grazie alla respirazione profonda e agendo sui meridiani fasciali nella loro interezza, stimola la distensione stimolando il nostro sistema nervoso parasimpatico e il nervo vago. Lo yin aiuta lo sviluppo dell’interocezione, ovvero la capacità di sentire e divenire consapevoli di sè. Confrontandosi tra praticanti di questo stile di yoga, inoltre, è comune che accadano dei rilasci emozionali durante il mantenimento di una posizione.

Creare una relazione di ascolto profondo interiore, imparando una comunicazione sana con il nostro corpo e le nostre emozioni, attraverso una pratica come lo yin yoga, che mette in comunicazione corpo e mente, è fondamentale per mantenere nella nostra quotidianità salute ed equilibrio. È grazie a questo ascolto che sapremo riconoscere i nostri bisogni e come soddisfarli.

Oltre a riportare equilibrio, lo Yin Yoga ha un impatto importante in caso di stati d’ansia e di stress. Ne parlo in maniera approfondita nel video qui di seguito.


Namastè,

Michela

 

 

Michela Aldeghi – ideatrice di vivoYOGA e E.Motion Artist, artista delle emozioni e dell’energia in movimento.
Studentessa e insegnante di yoga e meditazione, curiosa esploratrice e instancabile viaggiatrice.

 vivo YOGA
vivo_yoga

Namastè Yogis,

questo 2022 è iniziato con un’intervista alla dott.ssa Federica Calcagnoli, biologa nutrizionista. Quale miglior maniera per iniziare il nuovo anno, che viene sempre con tanti propositi, dedicando la nostra attenzione alla maniera in cui ci alimentiamo?

Sono ormai più di 10 anni che sto dedicando la mia vita all’approccio olistico ed integrato. In ogni ambito e settore, è sempre risaltata l’importanza alla maniera in cui ci alimentiamo. Gli antichi yogis, che hanno dedicato la loro esistenza allo studio dell’energia di tutto ciò che risiede fuori e dentro di noi, erano consapevoli di come la maniera in cui nutriamo il nostro corpo ha un effetto importante sul nostro spazio mentale, energetico e, di conseguenza, spirituale.

Come ci siamo dette con Federica: immaginiamo di avere una macchina ad altissime prestazioni (il nostro corpo). La maniera in cui ce ne prendiamo cura, i prodotti che utilizziamo per mantenerla pulita e prestante, avranno un impatto sulle sue funzionalità. Se ho una macchina diesel ma le metto benzina, come posso pretendere che funzioni bene e a lungo? Lo stesso vale per il nostro corpo. Se non gli diamo i giusti nutrienti, non solo non stiamo sfruttando le sue potenzialità (elevatissime!) ma rischiamo anche di andare a danneggiarlo, a lungo andare.

Imparare a nutrire il nostro corpo con quello che è più funzionale per lui (ognuno di noi è un individuo unico, per questo è importante assecondare i propri bisogni soggettivi), ci garantirà una qualità di vita che non ha paragoni. Alimentarsi “bene” viene spesso associato alla rinuncia, perdita di gusto e conseguente infelicità. Questo finché non scopriamo quello che abbiamo da guadagnare dal momento in cui impariamo a “trEAT yourself GOOD”, come dice il motto di Federica. Nutrirci con Amore, non solo ci donerà immediatamente più energia, lucidità mentale, aumento di prestazioni fisiche, e benessere generale. Ma scopriremo come anche la nostra alimentazione può essere tanto più gustosa con alimenti in linea con la Natura, non processati e tanto appaganti.

Se vi siete persi l’intervista, la trovate qui nel video Youtube. Appena sotto al video, vi lascio un messaggio della dott.ssa Calcagnoli e i suoi contatti. Se avete il desiderio di scoprire le potenzialità ancora inespresse del vostro sistema mente-corpo, contattatela! Non è mai troppo tardi per iniziare.

Buonissimo inizio di questo nuovo anno, yogis!
Namastè,

Sempre con Amore.
Michela

 

 

“trEAT yourself GOOD”: tratta te stesso bene e fallo anche mangiando bene!

È con il mio slogan che ci siamo salutate Michela ed io dopo la piacevolissima intervista, ospite nel suo salotto virtuale.

Abbiamo parlato di come la nutrizione possa impattare il benessere della persona dal punto di vista biochimico-organico, ma anche psico-emotivo. Si tratta solo di cambiare la prospettiva che abbiamo quando pensiamo e usiamo il cibo affinché non sia solo un modo di soddisfare i nostri fabbisogni calorici e i nostri piaceri gustativi, ma sia uno strumento per nutrire le cellule, per elevare il loro potenziale energetico, mantenere o ritrovare lo stato di benessere.

Non dimentichiamoci che la quantità e qualità di ciò che mangiamo impatta sul benessere del microbiota intestinale, che è l’insieme dei microrganismi colonizzanti il nostro tratto gastrointestinale. Essi non si occupano solo di assorbire i nutrienti e di favorire la corretta funzionalità intestinale, ma anche di comunicare con il sistema immunitario e di produrre sostanze fondamentali per l’organismo, a partire da alcuni tipi di vitamine, acidi grassi a corta catena, sostanze antibiotico-simili e molecole di segnale ad azione centrale, che influenzano le funzioni cognitive, il ritmo sonno veglia e, perfino, le emozioni, tanto da parlare, sempre più, di asse bidirezionale microbiota-intestino-cervello.

Insomma, il cibo, se scelto bene, è prevenzione ma è anche una strategia terapeutica che dovrebbe sempre essere inserita all’interno di un percorso di cura integrato, insieme all’esercizio fisico, alla respirazione consapevole, alla regolarità dei bioritmi e a tutte quelle tecniche di gestione dello stress. Lo diceva Ippocrate tanti secoli fa e lo rivaluta oggi la Nutrizione Funzionale, che a me piace definire come una cassetta degli attrezzi da cui attingere in maniera personalizzata in funzione della necessità di chi si rivolge a me, sia che si tratti di una situazione fisiologica che patologica, proprio come se dovessi confezionare un abito su misura: ad ognuno il suo. È questa la mia mission!


Dott.ssa Federica Calcagnoli, laureata in Biologia della Nutrizione, esperta in Nutrizione Funzionale, con un master di II livello in Nutrizione, Nutraceutica e Dietetica Applicata e un perfezionamento universitario in Diete e Terapie Nutrizionali Chetogeniche, dottorato di ricerca in Neuroscienze e laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Per informazioni o richiedere una visita, anche online, si prega di contattare per email info@federicacalcagnoli.com oppure attraverso il sito internet www.federicacalcagnoli.com o al numero 348-8962936.

 

Se esistesse una top ten delle domande che mi sento fare più spesso dagli allievi, il primo posto andrebbe senz’altro a: “Quale tappetino yoga mi consigli?”

Per poter praticare yoga non abbiamo bisogno di molto: ci bastano un abbigliamento adeguato, un supporto (il tappetino yoga) e magari qualche attrezzo di sostegno, che ci possa aiutare nel facilitare, o intensificare a seconda dell’utilizzo, le posture dello yoga.

In questo articolo rispondo quindi alla domanda: “Come scegliere il tappetino yoga?”

Esistono oggi moltissimi materassini yoga, tanti che non si sa quale scegliere! Sia che tu sia un principiante, sia che tu sia un praticante avanzato, la scelta potrebbe metterti in difficoltà. È molto comune andare nel negozio sportivo dietro casa, oppure sceglierne uno dei tanti disponibili online, magari su amazon.

Se non c’è qualcuno che ti sappia consigliare o se non sai qual è il più adatto a te, esiste il rischio di portarsi a casa qualcosa che non risponda alle tue necessità. Vale a dire: soldi buttati! Magari il tappetino inizia a sgretolarsi nel giro di poco, ti fa scivolare, oppure scopri di averlo comprato troppo basso e ti fa male alle ginocchia, oppure troppo alto e non ti senti stabile nelle posizioni in equilibrio.

Iniziamo da questo presupposto: non esiste il tappetino ideale per tutti. Esiste quello che risponde ai tuoi bisogni.

Per scoprire quali sono le tue necessità e quindi come valutare il tappetino più adatto a te, rispondi a queste domande:

  • quale stile di yoga pratico?
  • quante volte pratico durante la settimana?
  • ho appena iniziato o sto praticando già da un pò di tempo e con costanza?
  • quanto sono disposto a spendere?

A seconda delle risposta che ti sei dato, ti consiglierei senz’altro tappetini yoga diversi. Andiamo a fare una valutazione considerando le domande sopra. Ti mostrerò i tappetini yoga che valuto più validi a seconda dei tuoi bisogni e quale tappetini, dal mio punto di vista, sono degli ottimi compromessi per portarsi a casa alta qualità e versatilità al miglior prezzo!

Le caratteristiche fondamentali che teniamo presente per scegliere il tappetino sono:

  1. aderenza del materiale
  2. altezza del tappetino
  3. qualità (aspettativa di vita) vs prezzo

 


Il tappetino yoga adatto al tuo stile

Pratichi uno stile dinamico oppure uno più statico o di abbandono? Fa una grande differenza rispetto al tappetino di yoga più adatto a te!

ADERENZA

Se pratichi uno stile di yoga più statico, magari un hatha yoga classico oppure uno yin yoga, non avrai bisogno di grande aderenza. Invece potrebbe essere più utile un tappetino morbido, che ti faccia sentire comodo anche in quelle posizioni dove dobbiamo stare in appoggio sulle ginocchia (per esempio). Negli stili più statici le posizioni vengono mantenute a lungo, consiglio di preferire la comodità all’aderenza.

Se non abbiamo bisogno di grane aderenza possiamo scegliere il materiale e l’altezza che più ci piacciono e che ci fanno sentire più a nostro agio. Esistendo così tanti tipi di tappetini, ognuno ne predilige uno rispetto che un altro. Personalmente, quando pratico uno yoga statico utilizzo un tappetino fatto di un materiale stile “velluto”. Come questi di ReYoga: ENERGY

Come vedrai leggendo la descrizione, questi tappetini vengono consigliati in caso di stili dinamici, ovvero quando si suda, perché il materiale di cui sono fatti li rende super aderenti SE bagnati. Altrimenti, al contrario, sono molto morbidi e scivolosi.

PRO: a parte essere una super coccola, visto che sono molto morbidi, sono una ottima via di mezzo tra una pratica statica e dinamica. Se restiamo nella posizione in forma statica ci permette di entrare più in profondità negli asana, proprio grazie al fatto che “scivoliamo”. Se invece iniziamo a sudare in movimenti più dinamici, come ad esempio nella pratica dei saluti al sole, iniziano a creare grande aderenza, donandoci stabilità sugli appoggi, ma rimanendo morbidi ed accoglienti. Un altro pro?! Questo materiale permette di poter stampare grafiche su tutta la superficie, per questo se ne trovano di bellissimi e di tutti i colori.

CONTRO: sono molto pesanti e quindi non adatti da portare in giro, meglio per la pratica a casa. Se si cerca aderenza subito e non sudiamo facilmente risultano molto scivolosi, quindi non consigliabili!


Se pratichi uno stile dinamico, è molto più probabile che tendi a sudare maggiormente, quindi potresti avere bisogno di maggiore aderenza per poter passare da una posizione all’altra trovando nel tuo supporto la stabilità che stai ricercando. Esistono stili di yoga dove si suda molto e dove ci si mette alla prova con posizioni avanzate, magari a testa in giù, in equilibrio su mani e braccia. In questo caso, avere un tappetino yoga che ti sostenga e non ti faccia scivolare può fare una grande differenza! Se stai cercando un tappetino yoga che risponda a queste necessità, questo della Liforme è senz’altro il più famoso (anche il più caro!) e probabilmente il primo brand a utilizzare questo materiale che garantisce aderenza perfetta.

Liforme Tappetino Yoga 

PRO: un’aderenza così è difficile trovarla in altri tappetini! Inoltre il disegno stampato sono in realtà indicatori di allineamento che possono aiutarti nella pratica.
CONTRO: sono anche questi tappetini abbastanza pesanti e quindi non comodi da portare in giro. Proprio per la grande aderenza non sono adatti ad una pratica che richiede invece lo scivolamento. Quindi anche nelle posizioni statiche o in alcune transizioni, a volte si rimane “appiccicati” al tappetino che ci impedisce di entrare più in profondità. Un altro contro è senz’altro il prezzo, uno dei più cari sul mercato!


Un tappetino che invece considero un OTTIMO rapporto qualità-prezzo, che ha grande aderenza ma che dal mio punto di vista può essere utilizzato anche per pratiche più statiche perché è di un materiale molto morbido e accogliente, è questo di REYOGA: Element Grow

PRO: ottima aderenza, molto leggero e quindi ideale da portare in giro, personalizzabile 🙂 e versatile. Lo trovo adatto anche alle pratiche più statiche. Il materiale è morbido e accogliente.

CONTRO: se stai cercando un tappetino che ti permetta di scivolare, questo non è quello più adatto perché ha comunque un grande grip.


Un tappetino che considero ideale per il suo ottimo bilanciamento tra grip (aderenza fenomenale!) e libertà di movimento (nonostante il grip dona molta libertà nello scivolamento da una posizione all’altra), è questo di ARTLETICA. Essendo dotato di un cuscinetto morbido lo trovo adatto anche alle pratiche più statiche. 

PRO: ottima aderenza ma anche libertà di movimento per le pratiche più fluide. Ideale sia per pratiche dinamiche intense, come il vinyasa, ma anche per le pratiche più statiche dove abbiamo bisogno di sostegno e un appoggio morbido ad esempio per le ginocchia. Un altro PRO non indifferente sono le stampe colorate e molto belle!

CONTRO: non è di quelli più leggeri, quindi se stai cercando un tappetino da viaggio o da portarti in giro da ufficio al tuo studio yoga, non te lo consiglierei. Inoltre il materiale di cui è fatto lo rende un poco ruvido e, a seconda dei gusti personali, potrebbe risultare poco “coccoloso” 🙂

 

ALTEZZA

Anche l’altezza del tappetino può fare una grande differenza per la nostra pratica! Solitamente quasi tutte le marche e i tappetini si trovano in due altezze. Una volta che hai scelto il materiale ideale per il tuo stile, scegli l’altezza giusta per te.

Per scegliere l’altezza ideale bisogna considerare soprattutto il tipo di posizioni che si fanno più di frequente: stai più a terra o in piedi? Nelle posizioni in piedi abbiamo bisogno di stabilità e questa caratteristica ce la danno i tappetini più bassi (3-4 mm al massimo). I tappetini più alti e morbidi (6 mm) sono ideali per le posizioni a terra, perché sono più comodi per l’appoggio delle ginocchia e creano maggiore isolamento con il pavimento (ci viene meno freddo mentre pratichiamo).

Questo di ARTLETICA è di 5mm, un ottimo compromesso sia per ottenere stabilità nelle posizioni in piedi che morbidezza in quelle statiche!

Il tappetino yoga adatto al tuo livello e frequenza della pratica

Un altro fattore da considerare quando si acquista un tappetino è l’aspettativa di vita del materiale in relazione al prezzo. Questo si valuta prendendo in considerazione la frequenza della pratica e quanto si è seri riguardo allo yoga.

Quando si ha appena iniziato con qualcosa di nuovo, vale la pena fare un investimento in termini economici meno importante, acquistando un tappetino “base”, adatto un pò a tutto, che ci permetta così di sperimentare la pratica. Agli inizi consiglio infatti di provare più stili di yoga, fino a trovare quello più adatto a noi. È il momento in cui capiamo quanto ci piace lo yoga, quanto tempo ci piacerebbe dedicargli e quale stile approfondire.

Solitamente, nel giro di qualche mese o un anno, saranno già chiare le risposte. E questo ci permetterò anche di capire su quale tappetino varrà la pena investire. Se scegliamo di mantenere una frequenza di un’ora alla settimana, potremmo non avere bisogno di investire in un tappetino di grande qualità. Anche uno base ma buono, sarà più che sufficiente. Se invece la nostra pratica inizia a diventare più costante e frequente, i tappetini base iniziano a non essere più abbastanza. Presto li vedremo sgretolarsi e allora vale la pena investire su un materiale di qualità maggiore ma che duri di più nel tempo.

I tappetini che consiglio quando iniziamo la nostra pratica agli inizi sono senz’altro questi di REYOGA:

FREE Light – 3mm
FREE Soft – 6 mm

Come vedi, lo stesso tappetino è disponibile in due altezze diverse. Come già descritto prima riguardo a come scegliere l’altezza, fai una valutazione del tipo di lavoro che andrai a fare e il tuo grado di flessibilità.

L’altezza più bassa è adatta agli stili più dinamici e alle persone più flessibili.

Prediligi l’altezza più alta se invece starai spesso a terra, facendo lavori di allungamento, e se sei molto rigido.

Conclusioni

Il consiglio, durante la ricerca, è di leggere le recensioni di chi l’ha già acquistato (se lo stai scegliendo online). Leggi di quali caratteristiche parlano, non solo se gli danno 1 o 5 stelle. Perché l’opinione di ognuno riflette se le sue necessità sono state esaudite. E le sue non necessariamente sono le stesse tue! Quindi leggi i commenti e vedi se ti ritrovi con quello che scrivono prima di acquistare.

Se invece acquisti in negozio puoi farti consigliare dal commesso e toccare tu stesso il materiale, facendo già una tua valutazione diretta 🙂

QUALI CONSIGLIO AI MIEI ALLIEVI?

Raccolgo spesso feedback dai miei allievi rispetto ai tappetini che hanno scelto e alla loro esperienza. È sulla base soprattutto delle loro risposte che consiglio questi tappetini di ReYoga. I migliori in termini di rapporto qualità, prezzo e versatilità:

Se sei un praticante più esperto: Element Grow
Se sei agli inizi: FREE Light – 3mm

E tu quale tappetino usi?
Fammi sapere la tua esperienza 🙂

Namasté

 


Michela Aldeghi – ideatrice di vivoYOGA e E.Motion Artist, artista delle emozioni e dell’energia in movimento.
Studentessa e insegnante di yoga e meditazione, curiosa esploratrice e instancabile viaggiatrice.

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L’Ayurveda, l’antica scienza della vita, oltre che occuparsi della cura delle malattie, pone la sua massima attenzione sulla salute di ogni individuo e sulla capacità di mantenerla a lungo. Spicca quindi l’aspetto preventivo di questa disciplina che viene attuato prendendo in considerazione diversi aspetti.

In Ayurveda è prevista una specifica routine quotidiana per purificare e rafforzare il corpo che guarda ai cicli della natura e basa le attività quotidiane attorno a questi cicli.
Questa routine è chiamata in sanscrito Dinacharya दनचया (dina=giorno e charya=regime/comportamento) e racchiude un insieme di regole igieniche per la pulizia del corpo e di azioni ben precise da svolgere nel periodo che intercorre tra l’alba e il tramonto.

Ogni azione presente nel dinacharya segue una logica precisa che si accorda con i ritmi della natura. Esiste un “orologio doshico” che scandisce le nostre giornate.
Cosa significa?

I dosha Vata, Pitta e Kapha, oltre ad essere presenti dentro di noi sono presenti anche nell’ambiente esterno e con le loro qualità ci influenzano costantemente. Nelle varie fasce orarie della giornata si alternano momenti di accumulo e diminuzione dei dosha che hanno effetti sulla nostra fisiologia e l’ambiente.

  • VATA DOMINANTE dalle 2 alle 6 e dalle 14 alle 18: ha le qualità di leggerezza, freschezza e movimento. Questo ci predispone al risveglio, alle azioni di purificazione, attività di studio e lavoro. In queste fasce orarie siamo maggiormente attivi sia fisicamente che mentalmente.
  • KAPHA DOMINANTE dalle 6 alle 10 e dalle 18 alle 22: ha le qualità di pesantezza, stabilità, lentezza. Queste qualità ci possono fare sentire maggiormente “lenti” e stanchi, per questo motivo alzarsi tardi dal letto la mattina ci provoca difficoltà ad “ingranare” la giornata. Non è indicato mangiare in queste fasce orarie per via della lentezza dei processi digestivi, bensì vanno sfruttate per consolidare e dedicarsi al riposo.
  • PITTA DOMINANTE dalle 10 alle 14 e dalle 22 alle 2: ha le qualità di calore e trasformazione. Queste qualità stimolano i processi digestivi e ci fanno sentire maggiormente affamati. Durante il giorno il pranzo dovrebbe essere consumato tra le 12 e le 13, momento in cui il nostro potere digestivo è al suo massimo. Viceversa nella fascia oraria notturna possiamo avvertire una “fame fasulla” questo avviene perché la fase più profonda metabolica di pitta è attiva.

Vediamo ora nello specifico la giornata tipo secondo le regole del Dinacharya.

Il risveglio

L’ora del risveglio deve avvenire 30/40 minuti prima dell’alba (Brahma Muhurta). Tempo del dio Brahma e tempo adatto per godere appieno dell’energia e della benedizione del nuovo giorno, nonché tempo in cui Vata è al suo massimo con le sue qualità di freschezza e movimento.
Una volta aperti gli occhi è bene rimanere nel letto qualche istante, ascoltare il proprio respiro per prendere coscienza di come ci sentiamo e …SORRIDERE!

Questo orario è anche quello indicato nello yoga come quello ideale per le pratiche di meditazione.

Appena svegli ci si dedica alla pulizia e al nutrimento degli organi di senso. È essenziale mantenerli puliti in quanto i sensi ci permettono di entrare in relazione con il mondo che ci circonda.

Pulizia della lingua. Con un apposito raschietto si rimuove la patina che si è formata durante la notte, osservare questa patina ci da modo di capire come funziona la nostra digestione: che colore è la patina? È tanta? È poca? Viene via facilmente?
Questa pratica ci consente anche di stimolare l’espulsione del muco in eccesso nella regione della testa.

Lavare i denti. È consigliato utilizzare un dentifricio dal sapore amaro ed astringente per disinfettare la bocca e rinsaldare denti e gengive. La tradizione ayurvedica prevede l’utilizzo di specifici dentifrici in polvere che possiedono le qualità sopra indicate.
Fare i gargarismi con olio di sesamo , il cosiddetto “oil pulling”. Questa pratica rafforza le gengive, nutre il cavo orale prevenendo le malattie e rischiara la voce.

Pulire le fosse nasali (jala neti) con l’apposita lota nasale riempita di acqua calda ed un pizzico di sale. Far scorrere delicatamente l’acqua in una narice facendola fuoriuscire dall’altra e viceversa.
Al termine inserire una goccia di olio di sesamo o Anu taila (specifico olio medicato) nelle narici e massaggiarle.

Sciacquare gli occhi con acqua fresca e applicare il collirio. Non è facile trovare il giusto collirio qui in Italia. Un ottimo sostituto può essere l’utilizzo del kajal (non quello cosmetico) indiano, che ha come ingredienti principali il ghee e la canfora. Il ghee da molto nutrimento e morbidezza mentre la canfora porta freschezza agli occhi.

Oleare il corpo con olio di sesamo biologico e non trattato, oppure olio di cocco, indicato per la stagione calda.

“Se una persona pratica regolarmente il massaggio d’olio, il suo corpo non risente di ingiurie o del lavoro più duro. La sua struttura fisica diventa forte, flessibile ed attraente. Mediante questa pratica il processo dell’invecchiamento è rallentato” (C:S: Su, 88-89).

Questa pratica nutre e rafforza il corpo in profondità e pacifica il dosha Vata. È importante oleare bene diversi punti molto delicati del corpo (le porte sacre): orecchie, narici, ombelico, ano e genitali. È prevista anche l’applicazione di una goccia di olio su di un importante punto posto sulla sommità della testa chiamato Brahmarandra (la porta di Brahma) questa azione porta chiarezza mentale e tranquillità.
Fare poi una doccia o un bagno per rimuovere l’eccesso di olio.

È utile bere un bicchiere di acqua calda o tiepida per stimolare i riflessi gastrointestinali che facilitano l’evacuazione. Evacuare la mattina è molto importante per evitare un eccesso di Kapha e pesantezza durante la giornata.

Una volta terminate le pratiche igieniche si può fare colazione. La colazione dovrebbe essere leggera e consumata prima delle 8.
Dopodiché ci si può dedicare alle attività del mattino.

Il pranzo

L’orario ideale per il pranzo è tra le 12 e le 13, momento in cui Pitta prevale nell’ambiente ed il nostro potere digestivo è al suo massimo. In Ayurveda il pranzo è considerato il pasto più importante, deve essere abbondante e completo.
Il pranzo va consumato in un luogo confortevole, stando seduti e con un atteggiamento di calma e gratitudine. Ogni pensiero negativo, rabbia o mangiare di fretta andrà ad influenzare negativamente la digestione e l’assimilazione dei nutrienti.

Dopo pranzo è opportuno fare una passeggiata breve, almeno 100 passi, come riportano i testi classici antichi, per favorire la digestione.

Pomeriggio

Tra le 14 e le 18 dominano le qualità di Vata, in questa fascia oraria ci si dedica al lavoro, allo studio e all’attività fisica.

Nel tardo pomeriggio ci si può dedicare alle pratiche per scaricare le tensioni accumulate durante la giornata come lo yoga, pranayama e meditazione.

La cena

L’ayurveda prevede che la cena sia consumata abbastanza presto, non più tardi delle 19, e che il pasto sia leggero e di facile digestione.
Dopodiché ci si prepara al sonno.
Fino alle 22 è consigliato dedicarsi ad attività rilassanti, spegnere tv e cellulare ed evitare tutte le azioni che potrebbero sovra-stimolare la mente.

Il sonno

È indicato coricarsi entro le 22, orario in cui kapha è ancora dominante con le sue qualità di pesantezza e lentezza, questo ci consente di sfruttare al meglio queste qualità per favorire un buon sonno ristoratore.
Per rilassare il corpo e migliorare la qualità del sonno, prima di andare a dormire si può fare un bel bagno caldo oppure massaggiare i piedi con olio di sesamo caldo.

E dopo la notte…. ricomincia un’altra giornata in armonia con le qualità della natura!

Per avvicinarsi a queste pratiche il mio consiglio è quello di inserire un’azione per volta (una a settimana o anche più) dando modo al corpo di creare delle piccole abitudini e consolidarle nel tempo.

Per gli acquisti: Ayurvedic Point dispone di un kit dedicato al dinacharya, potete contattarli direttamente per poterlo acquistare e avere tutte le informazioni.

 

Federica Vallé – Tecnico in Āyurveda certificato FAC. Porto avanti la mia passione lavorando con i trattamenti ayurvedici, consulenze e stile di vita. Mi tengo in costante aggiornamento frequentando corsi, seminari e ritiri (in presenza e online) sia in Italia che in India

3406950995
federica.val@hotmail.it
www.federicavalleayurveda.com/
Fedi Ayurveda

Dall’unione dei muscoli iliaco e grande psoas nasce il muscolo ileo-psoas, struttura filogeneticamente molto antica, a cui viene dato l’appellativo di muscolo dell’anima per le relazioni che contrae con il plesso celiaco (o plesso solare), stazione neuro-vegetativa di integrazione delle risposte ed attività dei visceri e molto altro…

L’ileo-psoas agisce come muscolo tonico posturale. Composto prevalentemente da fibre muscolari di tipo I, rosse, ricche in emoglobina, ha un ruolo di stabilizzatore della nostra postura, tenendo fissa la colonna nelle varie posizioni che assumiamo. Possiamo affermare che ha un’attitudine stakanovista, in quanto rimane attivo per la maggior parte della giornata. Ecco, quindi, che se la nostra quotidianità è fatta di momenti in cui stiamo prevalentemente seduti è bene ricordarsi di dare spazio all’allungamento di questa struttura, che tende facilmente ad irrigidirsi, con conseguenze meccaniche per le strutture anatomiche a lui connesse.

Il rachide ha la capacità insita di reagire alla forza di gravità grazie alla fisiologica curvatura in cui cifosi e lordosi si alternano per garantire flessibilità e resistenza in risposta alle pressioni verticali. Un’alterazione di queste curve porta ad una perdita della capacità di adattamento di tutto il nostro corpo. Una minore resilienza vertebrale ci rende più vulnerabili alla possibilità di traumatismi articolari o muscolari ed anche a patologie sia dell’apparato muscolo-scheletrico che viscerale.

Nella sua porzione superiore il grande psoas si aggancia alla giunzione toraco-lombare T12-L1 (costituita dall’ultima vertebrale dorsale e dalla prima lombare) dove si fonde con i pilastri inferiori del diaframma determinando l’unione della funzione respiratoria a quella deambulatoria, in quanto la porzione inferiore dell’ileo-psoas si aggancia al piccolo trocantere del femore. Una fisiologica mobilità di questo passaggio è essenziale anche per il libero scorrimento della linfa dell’arto inferiore e dell’addome, che viene raccolta dalla cisterna del chilo, stazione linfatica posta anteriormente ad esso

                                                                                                                                                                                                                   L’altra funzione principale dell’ileo-psoas è quella di flettere la coscia sul bacino e la colonna sulla coscia. Il muscolo iliaco, inoltre, ha anche la funzione di anti-vertere il bacino, cioè di farlo ruotare in avanti. Possiamo, quindi,  comprendere come una sua buona elasticità sia di fondamentale importanza per la salute della curva lombare e dell’articolazione dell’anca. Una rigidità, invece, può mantenere nel tempo il bacino in antiversione ed andare a creare maggiore stress sul passaggio lombo-sacrale (L5-S1), zona della colonna maggiormente soggetta a sintomatologia dolorosa (come mal di schiena) e ad alterazioni disco-vertebrali, quali discopatie, protrusioni fino al quadro clinico dell’ernia o degenerazione artrosica dell’unità vertebrale. Un ileo-psoas armonico si occupa di mantenere la congruità di questo passaggio, che è una delle chiavi della deambulazione bipede rispetto a quella in quadrupedia.

Tra i ventri muscolari dell’iliaco e dello psoas scorrono i nervi che si occupano dell’innervazione motoria e sensitiva dell’arto inferiore. Se, quindi, l’ileo-psoas si trova in uno stato di tensione, può insorgere una ‘’sindrome da incarceramento’’ meccanico, in cui il nervo viene compresso ed il risultato è che si possono avere dei sintomi fastidiosi all’arto inferiore imputabili al suo stato di contrattura cronica. Per fare un esempio pratico citiamo il nervo femorale, il quale scorre tra i due ventri di iliaco e grande psoas portando innervazione al muscolo sartorio, che si inserisce sulla parte mediale del ginocchio. Se il nervo sarà intrappolato da uno psoas troppo rigido, potrò avere dolore alla parte interna del ginocchio pensando che sia quest’ultimo a causarmi il problema. Intima è anche la connessione tra questo muscolo, l’arteria e la vena iliaca esterna, dai quali dipende l’irrorazione sanguigna dell’arto inferiore. Ancora, quindi, un buon sistema di nutrimento e drenaggio sarà relazionato anche ad una buona elasticità dell’ileo-psoas. 

Abbiamo accennato precedentemente alla relazione tra ileo-psoas e diaframma toracico. Se la persona è un abituale respiratore orale (cioè respira con la bocca e non con il naso) oppure utilizza maggiormente una respirazione toracica (come nei soggetti fumatori), la funzione e la qualità dell’ileo-psoas vengono inficiate a causa della limitata mobilità ed escursione diaframmatica. Mal di schiena, male al collo, dolore alla spalla o all’anca, i sintomi di un tale squilibrio possono essere i più svariati per le infinità di strutture che vengono coinvolte e la personale risposta. Non solo. Una buona respirazione è specchio di una buona salute generale, così come una buona salute è favorita dal libero scorrimento delle nostre acque interne (vascolari, linfatiche ed emozionali) ed è grazie al lavoro di pompage del diaframma che questo è possibile. L’azione diaframmatica permette la stimolazione di particolari recettori che si occupano dell’interocezione, ossia la consapevolezza della condizione corporea interna. Un respiro libero si può tradurre anche come una buona capacità di sentirsi, ascoltarsi e rispondere alle proprie necessità biologiche ed emozionali.

L’ultima connessione anatomica interessante è quella ileo-psoas e fascia renale, il tessuto connettivo che delimita la loggia, in cui si accomodano reni e surreni, dove il muscolo ne è il binario di scorrimento entro il quale si muovono i reni durante gli atti respiratori. In gergo osteopatico si può parlare di rene ‘’siderato’’, ossia fisso, che ha perso la sua libertà di movimento, dove il drenaggio risulta difficoltoso e si possono instaurare situazioni come ad esempio la calcolosi renale. La stessa fascia renale ha un collegamento con la fascia diaframmatica ed i corpi vertebrali della zona, venendo così a creare un’unità tra: psoas, diaframma e rene. Da questa sinergia anatomica e funzionale risulta importante comprendere come soprattutto le problematiche di gestione emotiva possano influenzarne la con conseguenze generali su tutto il corpo. Situazioni di forte stress ci portano a limitare, se non a bloccare l’escursione diaframmatica. Respiriamo meno, l’ileo psoas si irrigidisce e di conseguenza anche i nostri reni si congelano. Non solo conseguenze biomeccaniche, ma con l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) o asse dello stress ed il rilascio continuo di cortisolo le ripercussioni sono sistemiche, tra cui la più generale è l’incapacità del nostro sistema di mediare e regolare l’attività infiammatoria. Può nascere così un circolo vizioso che è bene interrompere per evitare di passare da un quadro di para-fisiologica ad uno di patologia manifesta, in quanto la sua attivazione protratta ci espone alla possibilità di sviluppare patologie quali glaucoma, alterazioni della pressione arteriosa, disordini autoimmuni, difficoltà di interazione sociale, fibromialgia etc. 

Per scoprire se l’ileo-psoas è retratto si può eseguire un test semplice e veloce: il test di Thomas. Sdraiati supino e porta entrambe le ginocchia al limite del letto. Ora, avvicina la coscia destra al petto e lascia penzolare la gamba sx fuori dal letto. Osserva cosa succede alla tua coscia sinistra. Se quest’ultima si solleva può star a significare che il tuo psoas non è del tutto elastico. 

Ed ecco un’ultima considerazione importante. Nelle situazioni in cui c’è una debolezza del cilindro addomino-pelvico è facile che anche lo psoas si trovi in retrazione e, quindi, è importante sostenere, rinforzare ed allungare la muscolatura che contribuisce a mantenere la nostra core-stability: diaframma toracico e pelvico, muscolatura addominale e muscolatura profonda del dorso. Fondamentale per la salute del muscolo ileo-psoas, data la sua inserzione sul piccolo trocantere del femore, sarà il lavoro di mobilità e stretching di tutta la regione dell’anca, che andrà a coinvolgere la muscolatura flessoria, adduttoria, abduttoria ed estensoria che si inserisce sull’arto inferiore. 

Per concludere, un ileo-psoas elastico, libero di assolvere alle sue funzioni, contribuisce alla salute generale del nostro sistema fisico e più in profondità della nostra anima. 

 

Per approfondire leggi l’articolo: DIAFRAMMA centro di vita

 

Valentina Vavassori – Osteopata Curandera (trattamenti osteopatici adulti, donne in gravidanza, neonati e bambini). Lavoro femminile di guarigione del ciclo mestruale singolo o a gruppi.

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Quando siamo sul nostro tappetino yoga ed eseguiamo le nostre asana, spesso la nostra attenzione si sposta sul tentativo di ricreare attraverso il nostro corpo l’immagine della posizione che vogliamo fare.

Cosa voglio dire con questo?

Se ad esempio l’asana su cui sto lavorando è pashimottanasana (la pinza) e quindi la mia intenzione è quella di allungarmi in avanti sulle mie gambe stese, appena mi approccio alla posizione cercherò di portare subito la fronte alle gambe. Perché l’ho visto fare dal mio insegnante, perché l’ho visto su instagram, perché il compagno di tappetino fa così, ecc.

Nella mia testa ho l’immagine della posizione “finale” ed il mio obiettivo è quello di riprodurre quell’immagine.

Ma questo è fare yoga?

In realtà, quello che ho potuto scoprire io stessa con la mia pratica, è che se mi concentro sull’immagine che voglio riprodurre sto “scavalcando”, perdendomi i benefici della posizione, il viaggio di scoperta che invece l’asana stessa è in grado di farmi vivere.

Sempre per tornare all’esempio iniziale, se sto lavorando sulla posizione della pinza e voglio piegarmi in avanti, il mio obiettivo non dovrebbe essere quello di portarmi la fronte alle gambe, ma riscoprire maggiore flessibilità, estensione, apertura e quindi libertà in tutta la parte posteriore del mio corpo. Che io sia con la testa che arriva addirittura oltre le mie ginocchia o che io sia nella variante più semplificata con le gambe piegate e un supporto sotto il bacino, il risultato ed i benefici che quell’asana mi sta donando non cambiano.

Qualunque variante della posizione, è già la posizione!

Quando il mio approccio all’esecuzione alle asana è cambiato, ed ho iniziato a vivere la pratica con la curiosità di scoprire quello che ogni posizione poteva insegnarmi, l’intero rapporto con lo yoga, il mio corpo e in generale con me stessa, si è completamente trasformato.

Sono passata dal fare una performance sul tappetino, volendo dimostrare chissà cosa, a scoprire e vivere un viaggio di scoperta e ascolto di me stessa e del mio corpo che ha reso la mia pratica ricca di significato. Ho scoperto infatti nel mio corpo uno strumento potente, un incredibile maestro e veicolo di consapevolezza, a molteplici livelli.

Che cosa ho iniziato ad imparare grazie a questo nuovo approccio?

Innanzitutto che il corpo è diverso ogni giorno, ogni momento. Ieri arrivavo con la fronte alle ginocchia, oggi sono più bloccato alla zona del bacino, oppure più corto a livello di muscoli delle gambe, o ancora più contratto alla zona cervicale. Tutte ragioni per cui il mio allungamento ne risente. Questo cambia qualcosa nella mia pratica?

Sì, perché prenderò accorgimenti nell’esecuzione delle mie posizioni che rispettino la situazione attuale, proteggendomi così anche da eventuali infortuni.

No, perché i benefici che ottengo sono esattamente gli stessi! E anzi, la mia asana mio aiuterà nello sblocco di quelle parti in tensione.

Quando invece sto vivendo ancora la mia pratica yoga come una performance cosa accade?

Che non accetto il fatto che il mio corpo sia diverso e lo forzerò ad ottenere lo stesso risultato del giorno precedente, rischiando anche un infortunio, vivendo ad un livello emotivo la frustrazione e non riuscendo a guidare bene il respiro nel corpo – cosa che mi causerà più tensione che benefici.

La cosa interessante è che, imparando ad ascoltarsi, ci possiamo anche accorgere che le ragioni per cui il corpo è sempre diverso possono dipendere da motivazioni differenti.

A volte il cambiamento è una diretta conseguenza di qualcosa che ho fatto con il corpo. Ad esempio, se il giorno prima ho camminato tutto il giorno in montagna, è normale che poi abbia i muscoli un pò più corti.

Altre volte il cambiamento del corpo dipende da fattori emotivi e mentali. Ad esempio, se siamo in tensioni per qualcosa che ci sta preoccupando, molto facilmente non sto riuscendo a guidare bene il respiro nel petto, l’area del torace sarà più chiusa con conseguente maggiore tensione all’area cervicale.

E’ interessante poter ascoltare il nostro corpo e scoprire come lui ci sta sempre dando una visione chiara e realistica di ciò che sta accadendo nel nostro mondo interiore. Interrogandoci e scoprendoci attraverso le asana abbiamo la possibilità di imparare a conoscerci e poter quindi poi aiutare noi stessi con quegli accorgimenti che ci permetteranno di lavorare ad un livello più profondo rispetto al solo involucro fisico.

La pratica fisica dello yoga diventa così un vero e proprio viaggio di scoperta di noi stessi.

Che altro è cambiato nella mia pratica grazie a questo nuovo approccio?

Incredibilmente (ma in realtà non c’è da stupirsi) ho iniziato ad avere accesso a posizioni che avevo sempre considerato impossibili per me. Improvvisamente il corpo ha iniziato ad aprirsi più facilmente e velocemente, diventando più flessibile, morbido e forte. Senza stare a desiderare di arrivare da nessuna parte, ma concentrandomi invece sui bisogni del mio corpo e donando lui quello di cui aveva bisogno, lui mi ha ripagata rendendo possibile l’impossibile.

L’importante è – ovunque io sia lungo il mio percorso – godermi il percorso. Perché la meta è il viaggio stesso.
Buonissima pratica.

Namastè

 

Michela Aldeghi – ideatrice di vivoYOGA e E.Motion Artist, artista delle emozioni e dell’energia in movimento.
Studentessa e insegnante di yoga e meditazione, curiosa esploratrice e instancabile viaggiatrice.

 vivo YOGA
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La pratica yoga è un viaggio personale e soggettivo. Potrebbe essere vissuto come uno stretching, ma molto facilmente, quanto più si pratica, quanto più lo yoga inizia a trasformarti. Cambia il corpo, la postura, ma ad un certo punto inizia a cambiare anche lo stato interiore, emotivo e mentale.

Lo yoga inizia così a prendere più spazio nella nostra vita, uscendo anche dai nostri tappetini e portandoci a cambiare la nostra routine, spingendoci a fare scelte diverse per noi stessi, la nostra salute e il nostro benessere.

Quanto più si pratica, quanto più i benefici aumentano, quanto più non se ne può fare a meno! Diventa così un desiderio spontaneo quello di iniziare a portare lo yoga a casa nostra, oltre che ai corsi.

In questo articolo voglio condividere con voi alcuni consigli per la vostra pratica da casa, in maniera da poter ottenere i massimi benefici anche da “auto-didatti” 🙂

Consigli per la tua pratica da casa

  • Evita di mangiare prima della pratica, sarebbe meglio che tu fossi totalmente a digiuno. Nel caso in cui non ti fosse possibile, scegli di mangiare qualcosa che sia facilmente digeribile, energetico e leggero. Ad esempio un frutto come la mela o della frutta secca.
  • Evita di bere subito prima o durante la tua pratica.
  • Se ti è possibile, scegli un luogo e momento della giornata in cui è fattibile per te togliere o limitare al massimo elementi di disturbo (come ad esempio poter spegnere o silenziare il tuo telefono).
  • Se ti è possibile, scegli di praticare quanto più spesso nello stesso luogo, meglio se dedicato solo a te e ai tuoi momenti per te stesso. Lì si creerà uno spazio speciale – il tuo! – che a lungo andare sarà in grado di donarti energia positiva e benessere anche nei momenti in cui ne avrai più bisogno.
  • Rendi il tuo spazio sacro, semplicemente dedicandogli alcune attenzioni particolari. Se ti piace, scegli di accendere un incenso prima della pratica o un diffusore di essenze. Puoi informarti sull’aroma più adatto per quella particolare giornata o momento della tua vita. Potresti anche mettere un fiore sul tuo tappetino, come un’offerta di ringraziamento alla vita, una statua o l’immagine di un Maestro a cui ti ispiri. Della musica – se ti fa piacere – e accendere una candela. È il tuo spazio, “decoralo” con i colori e profumi che più ti fanno sentire bene e a casa.
  • Ricordati sempre di dedicare del tempo a Savasana – la posizione finale di rilassamento – anche se sei di corsa! Questa posizione è fondamentale per lasciare che corpo e mente integrino dentro di sé tutto il lavoro fatto prima.
  • Ricordati sempre che l’obiettivo della tua pratica dovrebbe essere quella di avere maggiore consapevolezza di te stesso e del tuo corpo e di giungere alla fine sentendoti bene e integrato con corpo e mente.

Due parole sulle sequenze che sceglierai di praticare

Una delle difficoltà maggiori quando si decide di praticare da soli riguarda la scelta delle asana da praticare ma soprattutto, in quale sequenza?

Un professionista è tale in quanto ha seguito una formazione che l’ha portato a saper costruire delle sequenze che possano creare integrazione in corpo e mente. Quando si lavora con le asana e la respirazione, è infatti importante saper compensare sempre il lavoro profondo che stiamo eseguendo. Per questo è importante come auto-didatti rifarsi alle indicazioni di un esperto.

Sequenze pronte le puoi facilmente trovare sui libri di yoga, ma il mio consiglio è quello di affidarsi alla guida dei video. Il beneficio più grande dei video infatti, è quello di avere una voce che ti guida e conduce, così la tua mente ha il permesso per spegnersi e godere invece al massimo di tutti i benefici della pratica!

Questo consiglio lo considero valido per ogni studente (anche per chi è già insegnante!). Io per prima durante la pratica a casa mi faccio guidare da video online di professionisti che stimo. La mia mente così ha il permesso per spegnersi ed io posso dedicarmi completamente alla respirazione e all’ascolto del corpo, entrando più profondamente nella mia pratica.

Diverso sarebbe se devo costruirmi io le mie sequenze, passerei la mia pratica ad un livello sempre razionale, perché avrò sempre bisogno che la mia mente resti attiva e dinamica nel ricordare quale asana inserire dopo.

Ce ne sono diversi gratuiti (alcuni li trovi anche sul canale youtube di vivoyoga), meglio se sono completi di rilassamento finale guidato e introspezione con attenzione alla respirazione.

Riassumendo, perché fare pratica con i video?

  • Hai una guida che ti accompagna e che pratica con te dove e quando vuoi
  • Le sequenze create dai professionisti sono studiate apposta per aiutarti a raggiungere i tuoi obiettivi e per creare integrazione tra corpo e mente
  • Praticare con una voce che ti accompagna aiuta a darti motivazione ed entusiasmo
  • Puoi mantenere in maniera più facile la tua pratica costante
  • Puoi interrompere il video quando vuoi per:
    – prenderti tutto il tempo per provare la posizione
    – tornare indietro e ripetere degli esercizi o sequenze che ti sono piaciuti
    – ripetere le sequenze tutte le volte che vuoi
    – personalizzare la tua pratica alternando le lezioni dei diversi corsi
    – far durare il tuo savasana tutto il tempo che desideri

Eccezioni 

Ci sono delle eccezioni ovviamente e anche tra gli insegnanti c’è chi preferisce “auto-condursi” la propria pratica. Da questo punto di vista trovo che lo stile yoga ‘Ashtanga Vinyasa’ ha questo punto veramente forte: sequenze che restano sempre le stesse e che una volta interiorizzate non richiedono più che si “pensi” durante la pratica e invece ci si concentra totalmente sulla respirazione.

Trovo molto bello anche sperimentare il “lasciarsi andare all’ascolto del corpo”. Così è come piace praticare a me quando scelgo di non farmi condurre da una voce esterna. Salgo sul tappetino e dopo il momento di introspezione e di ascolto, permetto al corpo stesso di dirmi quello che desidera fare in quel preciso momento. Lascio che ad ogni asana segua la successiva non perché è stata ragionata ma perché è il corpo stesso che la richiede.

Trovo questo lavoro molto profondo e che spinge ad una conoscenza di se stessi e del proprio corpo estremamente gratificante. Perché la realtà è che ad un livello più profondo di quello della coscienza razionale, esiste un’intelligenza che sa e conosce esattamente cosa è giusto per noi, in ogni momento. Saper ascoltare questa voce, rispettarla e viverla, ha veramente il grande potere di cambiare radicalmente la nostra vita e il rapporto con essa e noi stessi.

In qualunque maniera tu decida di praticare, ricordati sempre di:

Rispettare sempre il tuo corpo e amare anche i suoi limiti – fermandoti se necessario o trovando degli accorgimenti che rendano la posizione più adatta alle tue esigenze.

Tenere sempre una respirazione profonda e consapevole. Quanto più durante la pratica ti ricordi di respirare, quanti più benefici stai ottenendo! Questa è la vera differenza tra una pratica yoga e una qualunque altra ginnastica.

Non dovresti MAI sentire dolore. Siamo sempre alla ricerca della sensazione del corpo, non del dolore. Se senti male, fai un passettino indietro, torna a respirare profondamente. Vedrai che il tuo corpo ti seguirà velocemente ripagando la tua pazienza.

 

Se vuoi praticare con me puoi seguire il mio canale YouTube, dove troverai tanti contenuti gratuiti sempre in aggiornamento. Oppure seguire uno dei pacchetti di lezioni complete (anche di introspezione, respirazione e pratica di rilassamento profondo guidato) che ho creato apposta per poterti aiutare con la tua pratica da casa.

 

Buonissima pratica!

Michela Aldeghi – ideatrice di vivoYOGA e E.Motion Artist, artista delle emozioni e dell’energia in movimento.
Studentessa e insegnante di yoga e meditazione, curiosa esploratrice e instancabile viaggiatrice.

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Come abbiamo già anticipato nell’articolo “La storia dello yoga“, la pratica che viviamo oggi sul nostro tappetino ha origini tantriche e ha visto la sua comparsa storica nel testo classico “Hatha Yoga Pradipika“, nel 1400 d.C., con una grande rivoluzione: la visione del corpo non come un ostacolo da superare ma, tutto il contrario, la via stessa dell’auto-realizzazione.

Con questo articolo voglio accompagnarvi più profondamente nella comprensione della visione del corpo secondo questa filosofia, vedendo la fisiologia del corpo da un punto di vista yogico, e quindi più energetico e spirituale, iniziando ad introdurre cosa sono le Nadi e i Chakra.

Ma prima facciamo un un passo indietro aprendoci ad una visione del corpo più ampia rispetto alla nostra tipica occidentale.

Il concetto di corpo

Secondo la filosofia tantrica, il corpo è lo strumento attraverso cui è possibile realizzare lo spirito, fine ultimo di questa antica filosofia.

La parola sanscrita tantra è traducibile con il termine “ordito” o “trama” ed è composta dalla radice Tan = estendere, moltiplicare, e il suffisso Tra = strumento. Il significato del termine Tantra Yoga è dunque quello di strumenti (pratiche, rituali) per estendere la coscienza umana.

Per fare questo utilizza, tra altri strumenti, soprattutto mantra e yantra.

Nel tantrismo si usa dire “in verità, ogni corpo è l’universo“, detto che spiega la visione del corpo secondo questa antica filosofia, come  una versione nel piccolo – o microcosmo – di ciò che esiste nell’universo – o macrocosmo.

Nel corpo ritroviamo dunque tutti gli elementi che esistono anche al di fuori di noi ed è proprio per questo che può essere il veicolo che ci conduce direttamente nella nostra massima espansione e realizzazione spirituale. Attraverso pratiche interiori, è possibile ritrovare il Divino che risiede dentro di me.

Secondo il pensiero tantrico l’universo manifesto, cioè che possiamo vedere e toccare,  è considerato come l’espressione fisica e sensoriale dell’immanifesto, che c’è ma non si vede. Brahman, l’entità cosmica infinita, eterna, onnipotente, che è puro e divino amore,  si manifesta in questo mondo nei suoi due principi ShivaShakti – che ricordano lo Ying e lo Yang taoisti.

Shiva è il Principio Maschile della Coscienza Divina e risiede nel centro di Sahasrara Chakra, nella cima della testa.

Shakti, è il Principio Femminile, la Dea, vista come forza creatrice universale, volontà ed intenzione, e risiede nel centro di Muladhara Chakra, alla base della colonna vertebrale. Essa viene comunemente chiamata energia Kundalini.

Si dice che attualmente Kundalini giace dentro ognuno di noi addormentata, in attesa del suo risveglio, per poter risalire verso l’alto e ricongiungersi con il suo sposo, Shiva, raggiungendo così la realizzazione suprema in cui tutti gli opposti sono perfettamente ricongiunti e armonizzati in una completa unità.

Viene rappresentata come un serpente addormentato tre volte e mezzo su se stesso e per questo viene chiamata anche Bhujangini, potere del serpente. Le tre spire rappresentano i tre gunạ (tamas, rajas, sattva), o qualità attraverso cui Shakti si manifesta in questo mondo, la mezza spira rappresenta invece la trascendenza.

La vera rivoluzione che porta questa filosofia dunque è proprio la rivalutazione del corpo, che viene visto come lo strumento della liberazione e non più, come in altre filosofie antiche indiane e ascetiche, come un ostacolo alla realizzazione spirituale.

Per questa ragione obiettivo del tantrismo è anche quello di espandere le capacità latenti del corpo, in una costante ricerca dell’equilibrio e bilanciamento tra gli opposti, di cui l’universo stesso è composto.

La vera dottrina tantrica antica è giunta fino a noi per lo più oralmente, per trasmissione diretta da Maestro a discepolo, preservandone l’autenticità ma anche permettendogli di  rimanere una pratica occulta e segreta per millenni, resistendo nella storia a tutte le invasioni e dominazioni.

Il rapporto tra Mestro e discepolo era fondamentale per lo sviluppo spirituale dell’adepto. Il tantrismo infatti non propone una strada uguale per tutti, ma anzi un cammino differente attraverso l’uso di diversi strumenti, tecniche ed iniziazioni a seconda del cammino individuale e del temperamento del discepolo.

Anche per questo i pochi testi scritti giunti fino a noi hanno spesso un linguaggio difficile da interpretare, portando oggi a diverse teorie e opinioni contrastanti a riguardo.

Ciò che conta, in realtà, è la presa di coscienza più amplia di quello che il tantrismo ci propone: una visione non-duale della realtà, dove Dio non viene più visto come qualcuno o qualcosa che sta al di fuori di noi, ma che al contrario esiste all’interno di noi, in attesa di venir risvegliato, scoperto e accolto, per tornare a lui nella fusione con il divino amore.

Inoltre tutti i testi esprimono con chiarezza il fatto che al corpo fisico di ognuno di noi corrisponde ad un livello più sottile un “corpo di luce” o corpo astrale. Secondo lo yoga, ciò che accade nel nostro corpo è in realtà la manifestazione materica di ciò che avviene nei corpi più sottili. Viceversa, le vibrazioni prodotte nei centri fisici hanno degli effetti nei centri astrali.

Stiamo parlando di un sistema che è per lo più formato, nel linguaggio yogico, da nadi e chakra. Quando parliamo di nadi ci riferiamo a dei canali sottili, fatti di materia astrale, che trasportano le correnti psichiche e praniche. I chakra invece rappresentano le centraline di distribuzione e controllo del flusso dell’energia nel corpo.

Le Nadi

Le nadi sono i canali astrali attraverso cui il prana circola nel nostro organismo, i meridiani del corpo secondo la medicina tradizionale cinese. Il termine sanscrito nadi viene dalla radice nad, che significa ‘movimento’. Nel corpo ci sono innumerevoli nadi che nei testi antichi diversi autori indicano con un numero che va da 72.000 a 350.000. Di queste solo tre sono considerate le più importanti e di cui si occupa principalmente lo yoga, perché regolano il funzionamento di tutte le altre, e sono Ida, Pingala e Sushumna. Ida e Pingala rappresentano le due polarità, negativa e positiva, mentre sushumna lo spirito, o la consapevolezza spirituale.

Di queste tre, solo Ida e Pingala sono normalmente attive, mentre Sushumna è ad uno stato potenziale di attivazione.

Tutte sorgono dal kanda, un punto a forma di uovo situato tra l’ano e la radice dell’organo di riproduzione.

Sushumna sale direttamente in cima alla testa attraverso la colonna vertebrale, nel midollo spinale. Secondo la visione tantrica è un tubo vuoto che contiene altri tre tubi concentrici, al cui interno si trova brahma, il canale ultrasottile della coscienza. L’attivazione di sushumna è lo scopo dello yoga, perché è un sistema di comunicazione tra le dimensioni inferiori e superiori della coscienza, permettendo all’energia kundalini di risalire attraverso i chakra.

Ida e Pingala scorrono rispettivamente a sinistra e a destra della colonna vertebrale come due sinusoidi che si incrociano salendo lungo la colonna dando origine ai chakra principali, o centri energetici.

Secondo alcuni queste tre nadi sono assimilabili al sistema nervoso volontario, al sistema nervoso simpatico e a quello parasimpatico.

Ida termina nella narice sinistra e può essere paragonata al sistema nervoso parasimpatico e all’attività dell’emisfero destro dell’encefalo, che controlla il lato sinistro del corpo. E’ responsabile del rilassamento e della gestione quotidiana del corpo: digestione, produzione lacrimale, dilatazione dei bronchi, e altra normale amministrazione biologica di cui normalmente non ci rendiamo conto in modo consapevole, e senza la quale non potremmo vivere. Viene considerata il canale lunare, freddo e passivo, correlata all’attività mentale, emotiva e ricettiva, orientando l’attenzione verso l’interno. E’ nota anche come chandra nadi, o nadi della luna.

Pingala termina nella narice destra corrisponde al sistema nervoso simpatico e all’attività dell’emisfero sinistro del cervello, che controlla il lato destro del corpo. Fa accelerare il battito cardiaco, dilata I vasi sanguigni, accelera il ritmo della respirazione e aumenta l’efficienza degli organi sensoriali. Pingala è la nadi dell’attività, dell’estroversione e del maschile, ed è chiamata anche surya nadi, o nadi del sole.

Il termine stesso Hata Yoga indica la fusione di questi due principi, Ha (Sole, Pingala) e Tha (Luna, Ida).

In condizioni normali vi è sempre una predominanza dell’attività di una narice sull’altra e questo permette al sistema di controllare cervello, esperienze e coscienza.

Quando è predominante pingala c’è maggiore energia vitale, maggiore efficienza nel lavoro fisico, la mente è attiva e il corpo produce più calore.

Quando predomina ida, l’energia  è più introversa, il corpo produce meno calore e si è più propensi ad attività di genere intellettuale.

L’alternanza tra queste due affluenze avviene di norma a ritmi di un’ora/un’ora e mezzo, con una certa prevalenza di pingala di giorno e di ida di notte.

Lo yoga mira ad una equalizzazione del flusso delle due narici, vale a dire un bilanciamento tra l’attivazione tra le due nadi Ida e Pingala. Quando entrambe le narici sono ugualmente attive e il flusso di Ida e Pingala è stato equalizzato infatti si attiva sushumna, il canale spirituale situato al centro del midollo spinale, obiettivo dello yogi.

I Chakra

La parola chakra letteralmente significa “ruota”, tradotto anche come “vortice” o “turbine”. I chakra sono infatti i punti nel nostro corpo astrale dove più nadi si incontrano. Questi centri si comportano come delle centraline di controllo dell’energia diffusa nell’intero organismo umano e ne regolano il flusso.

Come anche per le nadi, dentro di noi esistono miriadi di chakra, ma nella pratica yogica ci si occupa solo dei sette principali, che si trovano lungo il canale della sushumna nadi, che come abbiamo già visto rappresenta la controparte sottile della spina dorsale, ed in alcune zone del cervello.

Ognuno viene simbolicamente rappresentato come un fiore di loto, i cui petali corrispondono alle nadi che lo attraversa. Finché l’energia kundalini giace addormentata  in attesa del suo risveglio, i chakra con i loro petali sono rivolti in basso. Al momento del risveglio di shakti, i petali si rivolgono invece verso l’alto, seguendo l’ascesa dell’energia cosmica kundalini.

Il numero dei petali per ogni chakra cambia a seconda delle nadi che attraversano il chakra stesso, per un totale di 50. Su ognuno di essi risiede una delle 50 lettere dell’alfabeto sanscrito e la sua conseguente vibrazione e tendenza mentale collegata. Eccede da questa classificazione Sahsrara, il chakra della corona, chiamato per questo anche il loto dai mille petali. Sahsrara che non viene infatti considerato propriamente un chakra, rappresenta invece la nostra apertura a Brahman, il divino, nel momento del risveglio della nostra coscienza.

I chakra sono strettamente legati alla nostra parte psichica, comportandosi anche come centri di coscienza. Per questa ragione sono influenzati dal nostro mondo inconscio ed emozionale e la quantità di energia che circola attraverso questi centri dipenderà anche dal nostro stato psichico.

Rappresentano inoltre diversi livelli di consapevolezza, dal più istintivo al più intuitivo, rappresentando la via della spiritualità. Li si potrebbe dunque definire come i gradini di una scala ideale che conduce direttamente alla più elevata esperienza dello Spirito. I chakra più bassi si occupano della nostra coscienza più istintiva e primordiale, mentre risalendo un centro dopo l’altro, si trova una sempre maggiore consapevolezza, fino a giungere all’auto-coscienza.

I chakra principali e la sfera psichica a cui sono collegati sono:

  1. Muladhara – risiede nella regione del coccige. Questa è la dimensione legata al nostro istinto di sopravvivenza e quindi a tutto ciò che riguarda il nostro nutrimento, la nostra salute e il sentirci al sicuro. Rappresenta le nostre radici e il nostro diritto di esistere ed è per questo collegato all’elemento terra.
  2. Svadisthana – risiede all’altezza dell’osso sacro. Questa è la sfera del piacere ed è legata alla nostra capacità di connetterci con le nostre emozioni e con ciò che ci piace. La sfera sessuale è regolata da questo centro ed in generale tutta la nostra sfera emotiva. Rappresenta la nostra capacità di saper fluire con la vita e l’acqua è il suo elemento.
  3. Manipura – risiede nella regione lombare circa all’altezza dell’ombelico. E’ la sfera dell’auto-affermazione, qui nasce l’ego inteso come identità separata e con esso anche la nostra responsabilità personale. Rappresenta il nostro diritto di agire, la nostra forza di volontà e autostima. Il suo elemento è il fuoco ed è legato al potere personale.
  4. Anahata – risiede nella regione dorsale all’altezza del cuore. E’ la dimensione dell’amore e delle sfere affettive e relazionali, sia con noi stessi che di conseguenza con gli altri. Rappresenta la nostra identità sociale e la capacità e diritto di amare e di venir amati. Questa è la sfera dell’equilibrio e il punto di unione tra i chakra inferiori e quelli superiori più eterei e spirituali. Il suo elemento è l’aria.
  5. Visuddhi  risiede all’altezza della gola, dove iniziano le cervicali. E’ la sfera dell’auto-espressione, della creatività e della comunicazione. Questa è la prima dimensione più spirituale, il suo elemento è l’etere ed è legato alla nostra capacità di esprimere la nostra unicità e dare la nostra propria voce al mondo.
  6. Ajna – differenti tradizioni collocano ajna in luoghi diversi. Tutti sono d’accordo nell’affermare che kutashta, il terzo occhio o occhio spirituale che viene posto al centro tra le sopracciglia, è collegato col sesto chakra, pur essendo da questo distinto. Secondo alcuni, ajna risiede nel midollo allungato (bulbo alla sommità della spina dorsale che collega il cervello con il midollo spinale); secondo altri la sua sede è la cosiddetta grotta di Brahma: una cavità nel centro del cervello che presenta l’ipofisi nella parte anteriore e la ghiandola pineale nella parte posteriore. Da un punto di vista psichico, ajna rappresenta la dimensione in cui si diventa consapevoli di se stessi ed è quindi la sfera dell’auto-analisi e della riflessione su di sè. A questa sfera è legata l’intuizione, la percezione interiore e la chiaroveggeza.
  7. Sahasrara – risiede nella corona e rappresenta l’auto-conoscenza ultima, intesa come realizzazione dello spirito e fusione con la coscienza divina. Questa sfera rappresenta il nostro risveglio spirituale. Sahasrara non viene inteso come un chakra vero e proprio, perché considerato di natura superiore rispetto agli altri chakra sottostanti.

A questo elenco si dovrebbe aggiungere Bindu, anch’esso non considerato come un chakra vero e proprio, ma comunque un centro molto importante. Ha sua sede dove alcuni Indù con la testa rasata mantengono una ciocca di capelli, nella regione occipitale, dove l’attaccatura dei capelli forma una specie di vortice. Il bindu può essere individualizzato fissando l’attenzione nel kutastha e ritornando indietro e risalendo di 3-4 centimetri. Questo è un centro che è collegato sia col sesto chakra che col settimo, sahasrara, nei confronti del quale funge come da porta. Si dice che è qui che risiede il karma accumulato nelle vite precedenti.

Con lo yoga operiamo nello spazio compreso tra il primo chakra, muladhara, e il bindu, poi, come risultato di tale azione, l’energia e la consapevolezza si stabiliscono nel settimo chakra.

Un altro elemento della fisiologia sottile di cui bisogna tenere conto nel sistema di evoluzione dei chakra è costituito dai granthi, ovvero dei nodi che nella visione yogica ci impediscono di evolverci da uno stato di coscienza al successivo. I granthi si sciolgono solo quando si è pronti per passare allo stadio successivo di consapevolezza.

Il primo granthi, brahma, si trova nelle vicinanze di muladhara ed è collegato ad esso. Questo granthi è infatti il responsabile del nostro attaccamento ai piaceri materiali e la conseguente paura irrazionale di perdere ciò che possediamo. Rappresenta il nostro egoismo e gli si associa tamas, e di conseguenza anche l’inerzia e la pigrizia.

Visnu granthi, si trova invece nella zona di anahata e rappresenta i limiti prodotti dalle nostre emozioni e dai nostri sentimenti. E’ il responsabile del nostro attaccamento ad altre persone, e di conseguenza la dipendenza da esse. A visnu granthi si associa rajas, fonte di irrequietezza.

Il terzo granthi, rudra, si trova nella zona di ajna chakra e provoca l’attaccamento alle siddhi, i poteri spirituali, i fenomeni paranormali. Provoca anche l’attaccamento a noi stessi e alla nostra personalità, impedendoci di trascendere il dualismo e intuire la dimensione unitaria dell’universo.

Nei prossimi articoli dedicati alla fisiologia yogica andremo ancora più profondamente nella scoperta di ognuno di questi centri, vedendo insieme come operano ad ogni livello.

 

Michela Aldeghi – ideatrice di vivoYOGA e E.Motion Artist, artista delle emozioni e dell’energia in movimento.
Studentessa e insegnante di yoga e meditazione, curiosa esploratrice e instancabile viaggiatrice.

 vivo YOGA
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Quando si inizia a praticare yoga e ci si appassiona, arriva presto il momento in cui nasce il desiderio di saperne di più su questa pratica antica.

Ma se ci mettiamo a fare delle ricerche per conto nostro ci troviamo presto a scontrarci con concetti astratti e confusi, termini difficili che sembrano cambiare di significato a seconda del contesto. Soprattutto spesso poca chiarezza riguardo a cosa c’entrano tutti questi concetti spirituali con quello che si fa sul tappetino yoga ai corsi.

In questo articolo voglio provare a sintetizzare i concetti esprimendoli nella maniera più chiara e semplificata possibile, partendo dalle basi.

Cos’è lo yoga?

Yoga – dal vocabolo sanscrito jug, significa “legare assieme“, “unire“.

Lo stato di yoga è la condizione nella quale l’essere umano è unito a Dio, riscoprendo la sua vera natura spirituale al di là delle illusioni del piano fisico e mentale.

Secondo la concezione degli indù vengono dunque chiamate yoga tutte quelle pratiche o metodi che guidano l’essere umano ad un livello superiore di coscienza e nella direzione dell’auto-realizzazione

Per tradizione le principali vie dello Yoga sono quattro. Quattro differenti cammini che conducono alla stessa meta. Proprio per questo, anche se sono differenti fra di loro, si integrano e il compimento dell’uno porta alla realizzazione di tutti gli altri. Questi sono:

  • Raja Yoga – lo yoga della concentrazione interiore (conosciuto anche come Yoga Regale)
  • Karma Yoga – lo yoga del servizio disinteressato
  • Jnana Yoga – lo yoga della conoscenza e dell’intelletto
  • Bhakti Yoga – lo yoga della devozione

Oltre alle quattro vie principali già nominate, esistono altri yoga classici, tra cui il Mantra Yoga, il Japa Yoga, il Laya Yoga e l’Hatha yoga.

Il Raja Yoga

storia yoga raja yoga

Quando parliamo di yoga ci riferiamo indirettamente sempre al Raja Yoga, lo yoga classico, che vede la sua comparsa e descrizione attorno al II secolo a.C. nel famoso testo “Gli Yoga Sutra” di Patanjali.

Il testo si compone di 196 sutra (aforismi) sullo yoga che spiegano il cammino che il praticante dovrà affrontare per poter raggiungere l’illuminazione. In particolare Patanjali descrive questo percorso in 8 passi, conosciuti a noi come gli 8 rami dello yoga o Ashtanga Yoga.

Vi parlerò in maniera più approfondita di questo testo in un articolo dedicato.

Ci basti ora sapere che questo testo fornisce allo yogi (e quindi interessa anche a noi):

  • le norme pratiche e morali da adottare, ovvero lo stile di vita yogico
  • le pratiche che mirano a conquistare la mente attraverso il controllo della sfera fisica
  • la descrizione dei passaggi interiori che avvengono nel praticante durante la meditazione nel raggiungimento dello stadio ultimo del Samadhi (o illuminazione o realizzazione ultima, meta finale di ogni praticante)

L’Hatha Yoga

Veniamo ora all’hatha yoga, iniziando a fare un pò di chiarezza sui diversi termini che incontriamo.

In antichità tutte le forme di yoga consideravano il corpo, con i suoi bisogni e impulsi, come un ostacolo che bisognava “tenere a bada” con un forte auto-controllo sviluppato grazie alle pratiche di concentrazione interiore e meditazione.

Le pratiche yoga insegnavano dunque a trascendere il corpo per poter raggiungere il fine ultimo dell’illuminazione.

L’hatha yoga, di origine tantrica, vede la sua comparsa storica nel testo classico “Hatha Yoga Pradipika“, nel 1400 d.C., con una grande rivoluzione: la visione del corpo non come un ostacolo da superare ma, tutto il contrario, la via stessa dell’auto-realizzazione.

L’hatha infatti viene considerato lo yoga “del corpo”, ed è quello a cui ci riferiamo più spesso noi occidentali quando parliamo di yoga, e quello da cui sono nati tutti gli stili dello yoga moderno che conosciamo.

Rispetto alle altre vie classiche dello yoga dunque, l’hatha considera il corpo come una via per il raggiungimento finale di unione spirituale e non come un ostacolo da superare o ignorare.

In origine nasce come ausiliare al Raja Yoga e veniva praticato con lo scopo di purificare le nadi – canali pranici corrispondenti al sistema nervoso – per far sì che il corpo non fosse di ostacolo alla meditazione e che anzi aiutasse nello scopo della concentrazione interiore

L’hatha yoga si compone di una parte fisica e una mentale, attraverso tecniche di pranayama (respirazioni controllate) e asana (posizioni del corpo). Il corpo diviene dunque importante per poter trascendere ed evolvere spiritualmente. Il fine ultimo rimane sempre lo stesso, ma le vie e visioni che utilizzano sono diverse.

L’hatha yoga in antichità veniva trasmesso ed insegnato esclusivamente per via orale da maestro a discepolo, con il suggello del segreto.

Lo yoga moderno

Le cose hanno iniziato a cambiare in maniera definitiva grazie a Tirumalai Krishnamacharia (18 novembre 1888 – 28 febbraio 1989), considerato infatti il padre dello yoga moderno. A lui dobbiamo la diffusione dello yoga in occidente, ma anche la vista del ritorno alla ribalta di questa antica disciplina, che anche in India stava scomparendo.

T. Krishnamacharia è stato un grande studioso e filosofo, che ha studiato in Tibet in una grotta ai piedi del monte Kailash con il suo maestro Sri Bramachari per 7 anni, prima di tornare a Mysore dove fu chiamato a lavorare come maestro di yoga dal Maharaja Nalvadi Krishnaraja Wodeyar.

Universalmente riconosciuto come l’architetto del Vinyasa, intesa come l’arte di combinare il respiro con il movimento, è stato il maestro dei maestri Pattabhi Jois (creatore dello stile di yoga Ashtanga Vinyasa), B.K.S. Yiengar (ideatore dello yoga che porta infatti il suo nome) e T.K.V. Desikachar, uno dei suoi figli, che rimase accanto a suo padre imparando da lui per trent’anni, continuando dopo la sua morte a divulgare il suo insegnamento.

E’ da questi stili che si sono creati tutti quelli che conosciamo noi oggi e che lo yoga è arrivato nelle nostre case, ci ha fatto srotolare i tappetini e imparare un nuovo rapporto con noi stessi ed il nostro corpo.

Ashtanga yoga e Ashtanga Vinyasa yoga – qual è la differenza?

Se ci avete fatto caso, in questo articolo sono stati nominati sia l’Ashtanga Yoga, quando abbiamo parlato degli yoga sutra di Patanjali, sia l’Ashtanga Vinyasa Yoga, parlando di uno stile di yoga moderno ideato da Pattabhi Jois.

Questi due termini si riferiscono alla stessa cosa? No!

Spesso si fa molta confusione anche perché chi pratica l’Ashtanga Vinyasa tende ad abbreviare dicendo di fare “Ashtanga Yoga”.

In realtà l’Ashtanga Yoga si riferisce agli otto rami dello yoga descritti da Patanjali, mentre l’Ashtanga Vinyasa è propriamente lo stile di yoga.

Detto questo, chi pratica Ashtanga Vinyasa molto spesso pratica anche lo yoga degli otto rami di Patanjali.

Ma quindi, io quale yoga sto praticando?

Per concludere e tirare le fila del discorso, quando ci mettiamo sul tappetino e pratichiamo yoga, a prescindere dallo stile (che sia yin, ashtanga vinyasa, vinyasa, power, hot, bikram, integrale, ecc. ecc.) stiamo facendo tutti Hatha Yoga, ovvero lo yoga del corpo. Utilizziamo pranayama e asana, purifichiamo le nadi, creiamo un corpo forte e flessibile e indirettamente lavoriamo sul nostro corpo energetico preparandolo alla meditazione.

Quando e se decidiamo di far diventare lo yoga una pratica olistica, di auto-realizzazione, scoperta e crescita personale, adottando anche le pratiche suggerite da Patanjali negli otto rami, stiamo facendo Ashtanga Yoga.

In ogni caso, che sia una, l’altra cosa o entrambe, Yoga è tutto ciò che ci sta guidando ad un livello superiore di coscienza e nella direzione dell’auto-realizzazione.

Iniziamo dal tappetino spinti da mille ragioni diverse, ognuno con il proprio passato e storia. Ma come mi piace spesso ricordare, non importa che tu inizi a praticare perché vuoi imparare a meditare o perché vuoi dimagrire. Una volta che saliamo sul nostro tappetino ed iniziamo il viaggio, sarà lo yoga stesso a trasformarci, nella misura e direzione che siamo pronti a vivere ed affrontare.

Avete più chiarezza o ancora qualche dubbio? Fatemelo sapere!

Buona pratica <3

 

Michela Aldeghi – ideatrice di vivoYOGA e E.Motion Artist, artista delle emozioni e dell’energia in movimento.
Studentessa e insegnante di yoga e meditazione, curiosa esploratrice e instancabile viaggiatrice.

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