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L’attenzione rivolta oggi al respiro è presente in tantissime pratiche corporee, da quelle più orientali come lo yoga e la meditazione a quelle occidentali come la mindfullness, il training autogeno…

Quello che però noto tra le persone che si rivolgono a me, che anche praticano queste discipline, è la mancata integrazione del respiro durante la quotidianità. Magari ci rendiamo conto che non respiriamo, ma è come se ci dimenticassimo l’importanza che questa mancanza determina nella nostra vita. È come se ignorassimo che tutto parte dal lì. Dal primo soffio che emettiamo quando usciamo dal grande utero materno, il respiro è il nutrimento principale del nostro corpo. Attraverso di lui tutto si muove e tutto vive. Il respiro meccanico che conosciamo, e possiamo osservare dal nostro addome, è quello con cui più facilmente riusciamo ad entrare in contatto, ma tutte le nostre strutture respirano in modo più sottile, a partire dalle cellule.

Il respiro è ciò che ci permette di capire in che stato ci troviamo e ci permette, anche, di modificare questo stato. È il veicolo tramite il quale possiamo entrare in connessione con il sistema nervoso autonomo o vegetativo, che è involontario ed agisce durante la giornata svolgendo le nostre funzioni di base. È anche quel sistema che gestisce la nostra reattività a ciò che succede nell’ambiente esterno, modificando così il nostro ambiente interno. E’ quella bilancia che ci permette di meglio adattarci alle onde della vita, facendoci fluttuare tra stati in cui dobbiamo essere vigili e reattivi e stati in cui, invece, ci è concesso rilassarci.

Lo stile di vita lavorativo o gli eventi pregressi che hanno determinato la nostra crescita potrebbero bloccare questo sistema in uno stato di continua allerta, di continua reazione, portandoci a vivere in una condizione di perenne attivazione con tutta una serie di conseguenze a livello interno, tra cui l’iper-stimolazione del sistema dello stress, anche se l’evento stressogeno effettivo non è più presente. Quindi è come se vivessimo in uno stato di continua attesa che un qualcosa di terribile possa avvenire. Il nostro corpo non può che riorganizzarsi a questo stato inconscio profondo ed una delle prime risposte è proprio il cambiamento nella respirazione.

Pensate a quando accade un qualcosa che vi spaventa tantissimo o quando siete arrabbiati, com’è il vostro respiro? Dove state respirando nel corpo?

Di solito, in questi stati si utilizza una respirazione di tipo toracico, dove le strutture coinvolte sono quelle che dovrebbero essere di ausilio o essere attivate secondariamente rispetto alla struttura principale che dirige la respirazione. Il maestro dell’orchestra respiratoria è il diaframma, un muscolo affascinante sia per la sua anatomia di relazione che le sue molteplici funzioni.

L’etimologia del termine diaframma deriva dal greco: il suffisso dia significa attraverso, mentre fragma significa chiusura.

Questo enorme muscolo permette da una parte ad alcune strutture di passare attraverso di lui, come ad esempio l’esofago, la vena cava, l’aorta grazie a degli iati, dei buchi nei quali queste strutture decorrono, dall’altra però permette anche la separazione tra la parte superiore e la parte inferiore del nostro corpo. Divide, così, la parte toracica, da quella addominale. Da un punto di vista più sottile, può essere considerato come quell’elemento che separa ed unisce il sopra dal sotto, lo yin dalla yang, i centri energetici inferiori da quelli superiori.

AT Still, fondatore dell’osteopatia, disse: “Tutte le parti del corpo sono in relazione diretta o indiretta con il diaframma”. In effetti se osserviamo con attenzione l’anatomia di questo muscolo possiamo notare le sue infinite connessioni. In alto, la porzione della sua fascia di rivestimento più esterna entra in contatto con la fascia dei polmoni, le pleure, ed il rivestimento del cuore, il pericardio. Inferiormente e posteriormente contatta le prime tre vertebre lombari, le coste fluttuanti e due muscoli: l’ileo-psoas e il quadrato dei lombi. Al centro si attacca allo sterno e alle ultime sei coste. Tramite queste prime relazioni dirette entra poi in contatto con altre strutture più periferiche, per citarne alcune:

  • grazie al legame con la fascia dello psoas entra in relazione con la fascia renale,
  • alcune fibre del diaframma partecipano alla formazione della valvola che regola la chiusura tra esofago e stomaco, il cardias, contribuendo così ad una sua ipo o iper-tonicità.

Quando osservate l’anatomia pensate sempre a come un deficit di una zona può ripercuotersi sull’altra, così diventa più semplice riuscire a capire la causa più profonda del dolore che sale in superficie. In questo caso un’ipo-mobilità diaframmatica o un suo “blocco” può portare ad un ipo-mobilità delle strutture con cui si relaziona. Il diaframma risulta centrale nel contribuire alla nostra stabilità posturale. Se non respiriamo bene ed abbiamo i pilastri posteriori del diaframma “di marmo”, sarà normale avere delle vertebre lombari che non riescono a muoversi e magari iniziare ad avvertire mal di schiena. Però potrà essere anche vero il contrario, per mantenere una buona libertà respiratoria, le arcate di psoas e quadrato dei lombi non dovranno essere in tensione, pena il freno della respirazione stessa.

Un altro aspetto importante del diaframma è che con la sua azione di discesa durante l’inspirazione e risalita durante l’espirazione, come uno stantuffo va ad aumentare le pressioni nell’addome, spremendo così gli organi nella cavità addominale e permettendo un ricambio linfatico-circolatorio ed un miglior ritorno di sangue al cuore. Anche qui, si può intuire come una congestione a livello addominale con problematiche di gonfiore, stitichezza o dolore possa essere determinata da un’incoordinazione di questo movimento a pompa.

La psico-neuro-immuno-endocrinologia descrive questo muscolo “come la struttura anatomica PNEI per eccellenza” (La Pnei e il sistema miofasciale: una struttura che connette – Chiera , Bottaccioli et al.). Gli studi sulla sua importanza sono davvero tantissimi poiché anche le sue funzioni sembrano andare oltre a quelle descritte in precedenza. Per esempio, alcuni esperimenti stanno dimostrando come un suo stato di iper-contrazione (come nel caso di una patologia manifesta quale l’asma) possa portare ad un aumento sia locale nel diaframma che sistemico, in tutto il corpo, di cellule infiammatorie, quali le citochine, coloro che danno un messaggio di attivazione ai globuli bianchi. Altri studi evidenziano come l’attività diaframmatica sia connessa a tutti quei centri cerebrali che regolano la gestione dello stress sia fisico che psichico.

Il diaframma è così il nostro centro di vita. Permette un buon mantenimento posturale, un buon funzionamento dei nostri organi ed una migliore regolazione del nostro sistema nervoso centrale. Tradotto: il diaframma ci permette di riequilibrarci attraverso la sua libertà di espressione funzionale, cioè il suo movimento. Respirare ci permette di allentare le tensioni corporee, di migliorare la nostra mobilità e contemporaneamente ci permette di attivare il sistema interno di regolazione della nostra attività psico-emozionale. È la struttura del corpo alla quale tornare in qualsiasi momento per poterci riconnettere a quello stato di calma che ci appartiene. Può essere visto un po’ come la nostra casa, la nostra isola e la nostra sicurezza che sta lì e ci accoglie o consola quando abbiamo bisogno di ritrovare, appunto, il nostro centro.

 

Valentina Vavassori – Osteopata Curandera (trattamenti osteopatici adulti, donne in gravidanza, neonati e bambini). Lavoro femminile di guarigione del ciclo mestruale singolo o a gruppi.

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